Trump lo voleva fermare, New York lo ha incoronato. Zohran Mamdani, figlio di intellettuali ugandesi, ha riscritto la storia della città più complessa d’America. E ora tutto, di nuovo, sembra possibile

Donald Trump non ha mai nascosto la sua insofferenza per New York. Ma questa volta la rabbia è diventata qualcosa di più: un tweet furioso, partorito nel cuore della notte, contro un ragazzo di 34 anni che ha appena conquistato il municipio della città più simbolica d’America.
“Un marxista che distruggerà New York”, lo ha definito Trump sui social. Il nome? Zohran Mamdani. Il primo sindaco musulmano nella storia di New York, il più giovane, il più inaspettato. E, per molti, il segnale che la città ha deciso di voltare pagina per davvero.
La scena potrebbe stare benissimo in un film: Times Square illuminata dalle luci dei maxischermi, la folla che osanna il suo nuovo sindaco, e Trump che digrigna i denti davanti ai risultati. Non era solo una sconfitta politica, ma una resa dei conti generazionale. Mentre l’ex presidente prometteva di “fermare l’ascesa socialista”, un’intera metropoli si stava spostando altrove.
Zohran Mamdani, il ragazzo di Kampala che sognava il Queens
Zohran Mamdani nasce a Kampala, in Uganda, nel 1991. Suo padre è Mahmood Mamdani, uno dei più grandi pensatori africani contemporanei, ugandese di origini indiane; sua madre è la regista Mira Nair, autrice di film come “Monsoon Wedding”.
Una casa colma di libri, cineprese e dibattiti sull’identità post-coloniale. Eppure Zohran sceglie tutt’altro: le strade del Queens, gli affitti che salgono, le famiglie che non ce la fanno.
Dopo la laurea in Africana Studies al Bowdoin College, lavora come consulente per famiglie sfrattate. È lì, tra le case popolari e i comitati di quartiere, che nasce il suo linguaggio politico: diretto, empatico, popolare. Il passo verso la politica è breve e inevitabile.
La scalata: Cuomo, il Queens e la rivolta gentile
Nel 2020 viene eletto all’Assemblea dello Stato di New York, rappresentando Astoria e Long Island City. Da subito diventa uno dei volti più visibili della sinistra democratica, insieme ad Alexandria Ocasio-Cortez. Nel 2025 decide di tentare l’impensabile: correre per la carica di sindaco.

Contro di lui c’è un nome ingombrante, Andrew Cuomo, ex governatore, simbolo dell’apparato. Mamdani vince con una campagna essenziale, quasi artigianale: piccoli comitati, donazioni di quartiere, slogan come “Public good, not private greed”.
Un messaggio semplice, ma rivoluzionario: New York come bene comune, non come brand. Quando i risultati arrivano, la rivolta del Queens è compiuta.
Il programma di Mamdani: utopia o laboratorio americano?
Trasporto pubblico gratuito, affitti congelati, supermercati comunali per calmierare i prezzi, 200.000 nuove case popolari. Un piano ambizioso, quasi utopico. I critici lo accusano di voler “socializzare Manhattan”, ma Mamdani non arretra: “Una città che non può garantire un tetto non è una città libera”.
Wall Street lo osserva con diffidenza, i media conservatori lo definiscono “pericoloso”. Ma la sua base lo adora proprio per questo: è la voce di chi non può permettersi il biglietto della metro o l’affitto di un monolocale. Per molti newyorkesi, Mamdani rappresenta il tentativo più concreto di riportare il potere nelle mani di chi vive la città e non di chi la compra.
Trump, la paura del cambiamento e una nuova New York
Trump ci ha provato in tutti i modi: attacchi televisivi, accuse di incompetenza, minacce di tagliare fondi federali. Tutto inutile. Più cercava di fermarlo, più Mamdani cresceva nei sondaggi. Alla fine, la sua vittoria è sembrata il perfetto contrappasso: l’ex presidente dei grattacieli sconfitto da un ragazzo del Queens.

Oggi New York guarda avanti, divisa tra entusiasmo e scetticismo. I giornali lo chiamano “il sindaco delle persone comuni”, i detrattori lo temono come “il laboratorio del socialismo urbano”. Trump, invece, continua a twittare. Ma il suo bersaglio non è più un singolo politico: è un’idea di città che non gli appartiene più.
Ha provato a bloccarne l’ascesa, ma forse ha solo ricordato a New York di che parte stare.



